Il parlamento canadese riconosce il «genocidio» degli Uiguri
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- Pubblicato Martedì, 23 Febbraio 2021 22:39
OTTAWA - Il Parlamento canadese ha votato in maniera schiacciante a favore di una mozione che chiedeva di dichiarare un «genocidio» il trattamento della Cina nei confronti degli Uiguri.
La mozione - che è passata con 266 voti favorevoli, 0 contrari e 72 astenuti - è stata sostenuta da membri di tutti i partiti, riferisce la Bbc.
Il primo ministro Justice Trudeau e la maggior parte dei membri del suo gabinetto, tuttavia, si sono astenuti. Trudeau ha finora lesinato commenti a riguardo e si è mostrato molto prudente, dicendo solo che è «necessario» mettere in atto «ulteriori verifiche» da parte di «esperti internazionali».
L'approvazione della mozione rende il Canada il secondo paese, dopo gli Stati Uniti, a riconoscere le azioni della Cina come genocidio. L'iniziativa, lanciata da un partito d'opposizione, chiede anche al Comitato Olimpico Internazionale di spostare i Giochi Olimpici Invernali del 2022 da Pechino.
Cina. Donne e uomini stuprati nei “campi di rieducazione” dello Xinjiang
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- Pubblicato Martedì, 23 Febbraio 2021 13:50
Incoraggiati dalle donne che hanno trafitto il velo del silenzio, gli uomini raccontano storie di come sono stati vittime di abusi sessuali nella trasformazione attraverso i campi di istruzione.
La BBC ha raccontato l’orribile storia di come le donne vengono sistematicamente violentate nella temuta trasformazione dello Xinjiang attraverso i campi di istruzione. La storia non parlava di abusi occasionali da parte di guardie disoneste. Le donne coraggiose che hanno testimoniato hanno denunciato una “cultura dello stupro” pervasiva, in cui l’abuso sessuale è uno strumento per rompere l’identità musulmana e il rispetto di sé delle detenute. Questo va così lontano che allo stupro da parte delle guardie carcerarie si aggiungono visite notturne di uomini cinesi mascherati, a cui le prigioniere vengono “affittate” per ulteriori abusi.
Il ministero degli Esteri cinese si è ridicolizzato sostenendo che le donne che hanno testimoniato erano “attrici” reclutate dalla BBC, mentre in realtà sono apparse tutte con i loro veri nomi, e il loro legame con i campi era stato verificato. Il governo statunitense, britannico e australiano ha citato il rapporto della BBC per condannare le atrocità e gli abusi sulle donne nello Xinjiang . Altri governi, istituzioni internazionali e politici in tutto il mondo hanno fatto lo stesso.
Le orribili scene di stupro e tortura descritte nel rapporto della BBC non si verificano solo nello Xinjiang , né le donne musulmane sono le uniche vittime. Anche le detenute dei movimenti religiosi banditi etichettati xie jiao , come la Chiesa di Dio Onnipotente e il Falun Gong , vengono violentate. Le loro storie sono notevolmente simili a quelle raccontate alla BBC dalle donne uiguri e di etnia kazaka che hanno subito stupri nei campi dello Xinjiang . La stessa combinazione di indottrinamento ossessivo e abuso sessuale viene utilizzata per deprogrammare o “de-convertire” dalle loro credenze le devote della Chiesa di Dio Onnipotente e del Falun Gong in tutta la Cina.
Alcuni degli uomini violentati nei campi dello Xinjiang hanno raccontato le loro storie ad attivisti per i diritti umani in Kazakistan e altrove, ma non li hanno autorizzati a pubblicizzare questi rapporti con dettagli che possano portare, anche indirettamente, alla loro identificazione.
Fino a quando alcuni degli uomini violentati testimonieranno con i loro nomi, cognomi e dettagli della loro detenzione, il PCC negherà che lo stupro di detenuti maschi avvenga nella trasformazione attraverso i campi di istruzione , anche se del resto lo negano anche nel caso delle donne , dove questi dettagli sono già emersi. Siamo comunque soddisfatti che chi ci ha raccontato queste storie dica la verità.
Una delle donne che ha parlato con la BBC, Tursenay Ziawudun, è stata successivamente intervistata da Fox News e ha affermato che “Siamo umani, ma il modo in cui torturano queste ragazze e persino i ragazzi è come se fossimo animali”. “Anche i ragazzi”, disse. Un’altra parte dell’orribile verità sta gradualmente emergendo.
Fonte, bitterwinter.org
USA e Canada dicono basta al genocidio
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- Pubblicato Martedì, 16 Febbraio 2021 17:18
Il 2020 avrebbe potuto essere l’anno della svolta per la risoluzione della questione della uigura. La diffusione di notizie sui campi di internamento, gli Acts degli USA e il riconoscimento del crimine di genocidio sono passi avanti verso la presa di consapevolezza a livello mondiale sulle condizioni del popolo uiguro. Ma, per adesso, la Cina nega tutte le accuse, non accetta le critiche e ne esce ancora impunita.
Le reazioni della comunità internazionale
Nel luglio 2019 gli ambasciatori di 22 nazioni (tra cui Australia, Canada, Francia, Giappone e Regno Unito) hanno inviato una lettera al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite per sollecitare la chiusura dei campi di internamento della maggioranza uigura nello Xinjiang. A pochi giorni di distanza 37 Paesi, tra cui Arabia Saudita, Egitto, Russia, Corea del Nord, Filippine, Pakistan, Iran, Siria e Palestina (Stati con posizioni politiche e forti interessi economici che li legano a Pechino) hanno replicato con una lettera a sostegno delle scelte politiche attuate dalla Cina in Xinjiang.
Gli USA
Ma sono gli Stati Uniti, nel 2020, ad aver preso per primi effettive posizioni: hanno varato il “Uyghur Human Rights Policy Act”, diventato poi legge con la firma dell’uscente presidente Donald Trump, e lo “Uyghur Forced Labor Prevention Act”. Con quest’ultimo si instaura la presunzione legale secondo cui qualsiasi prodotto realizzato nella regione dello Xinjiang o confezionato lì derivi da lavoro forzato. Quindi, si porrebbe il divieto di importare materiale proveniente dalla zona, a meno che non si dimostri il contrario.
Un genocidio
Ancora più recente è invece l’audace dichiarazione della Sottocommissione canadese per i Diritti Internazionali dell’Uomo, che ha definito ciò che sta accadendo all’etnia uigura un vero e proprio genocidio. La Sottocommissione ha poi esortato la propria nazione ad adottare adeguate misure, come assumere una posizione di condanna nei confronti della Cina e collaborare con le organizzazioni impegnate sulla questione. D’altro canto la Cina, che da sempre nega tutte le accuse, anche questa volta ha dichiarato l’insussistenza dei fatti.
..che non cesserà presto
Durante la prima telefonata ufficiale tra il presidente statunitense Joe Biden e l’omologo cinese, avvenuta nella notte tra il 10 e l’11 febbraio 2021, il capo della Casa Bianca ha espresso la preoccupazione degli USA per la «violazione dei diritti umani» nello Xinjiang. La netta replica di Xi Jinping: «Si tratta di affari interni che riguardano la sovranità e l’integrità territoriale della Cina. Gli Stati Uniti dovrebbero rispettare gli interessi fondamentali della Cina e affrontare tali questioni con prudenza», sembra non lasciare spazio ad alcuna discussione in merito.
Resta palese che si sia di fronte a un atteggiamento ambiguo e non univoco da parte della comunità internazionale, in parte interessata a salvaguardare i propri interessi nello Xinjiang e i propri rapporti politici ed economici con la Cina. Nonostante sia indubbia la crescente attenzione riservata al problema, ancora non è chiaro se sarà possibile trovare una soluzione tale da far cessare le violazioni umanitarie verso l’etnia uigura. Nel frattempo, però, la Cina continua ad operare liberamente e nulla ostacola il protrarsi dei soprusi nei confronti delgli uiguri.
Dal Belgio un segnale per gli uiguri. Ma ora tocca all’Italia
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- Pubblicato Venerdì, 12 Febbraio 2021 14:19
Mossa coraggiosa questa mattina nel parlamento belga dove due deputati hanno depositato una proposta di risoluzione che, se adottato, impegnerà il governo a riconoscere formalmente l’esistenza di un genocidio in corso per mano del regime cinese nella regione dello Xinjiang. Il proponente Samuel Cogolati, co-presidente dell’Alleanza interparlamentare sulla Cina (Ipac) ha sostenuto che “i milioni di internati nei campi di prigionia, le sterilizzazioni di massa coercitive e il trasferimento dei bambini negli orfanotrofi statali rievocano i capitoli più oscuri del XX secolo. Solo riconoscendo queste atrocità per quello che sono, vale a dire un genocidio, possiamo iniziare a offrire speranza di giustizia per gli uiguri e le altre vittime della persecuzione dello Stato cinese nello Xinjiang”.
Il Belgio diventerebbe il primo Paese dell’Unione europea a seguire le orme degli Stati Uniti, dove sia l’amministrazione Trump sia quella Biden hanno ufficialmente definito le continue campagne di internamento di massa della popolazione uigura e di soppressione forzata delle nascite come un genocidio ai sensi della Convenzione delle Nazioni Unite del 1948.
Xinjiang e violazioni massicce dei diritti umani sono stati temi al centro anche della prima conversazione telefonica tra il presidente statunitense Joe Biden e l’omologo cinese Xi Jinping, come racconta il resoconto pubblicato dalla Casa Bianca. Non è mancata la reazione immediata da parte di Pechino, che attraverso l’agenzia di Stato ha ribadito che tale questione è un “affare interno” alla Cina, sul quale vanno rispettati “gli interessi fondamentali della Cina”, concludendo con la ormai consueta minaccia velata del rischio di uno scontro possibile che “sarebbe sicuramente disastroso per entrambi i Paesi e il mondo”.
È poco probabile che tali minacce fermeranno la nuova amministrazione statunitense a portare avanti la linea dura sulla Cina, forte di un quasi unanime consenso bipartisan sul tema. Ma è un ottimo indizio verso la creazione di un consenso multilaterale nell’Alleanza atlantica vedere le mosse parlamentari in un numero crescenti di Paesi: dal Genocide Amendment nel Regno Unito e le molteplici risoluzioni al Parlamento europeo, alla proposta di risoluzione belga di oggi.
Certo, a differenza della linea condivisa tra Congresso e amministrazione negli Stati Uniti, nel continente europeo regna un divario crescente in merito tra i parlamenti da una parte e i governi e le istituzioni dall’altra. Basti pensare alla questione apertissima sull’Accordo complessivo sugli investimenti, promossa in primis dalla cancelliera tedesca Angela Merkel insieme alla Commissione europea contro le indicazioni minime date dal Parlamento europeo. Una questione che viene ripresa anche nella mozione belga, dove i deputati chiedono al governo di fermarne l’approvazione finale fino a quando la Cina non avrà effettivamente ratificato le convenzioni chiave dell’Organizzazione internazionale del Lavoro sul lavoro forzato, una pratica promossa con schemi governativi sempre più documentata nelle regioni oppresse dello Xinjiang e il Tibet.
A proposito Cogolati ha sottolineato come “non possiamo continuare con il business as usual con la Cina mentre sempre più prove documentano le orribili violazioni dei diritti umani perpetrati dallo Stato cinese contro gli uiguri e altri gruppi nella regione dello Xinjiang. È del tutto inaccettabile che l’Unione europea abbia ceduto proprio sui diritti umani per suggellare il suo Accordi di investimento con la Cina. Il messaggio dal Belgio e da tutta Europa deve essere chiaro: nessun accordo finale senza la ratifica da parte della Cina delle norme internazionali sul lavoro forzato”.
È infatti evidente che il famoso adagio del cambiamento positivo attraverso il commercio abbia pienamente fallito. Basti pensare al fatto fatto che i suoi maggiori proponenti ancora oggi, a partire della Germania con la sua politica mercantilista, hanno dovuto fare dietrofront sulle più minime richieste nel campo dei diritti umani per arrivare all’accordo. Inoltre, è sempre più evidente che nonostante le frequenti minacce cinesi, il Partito comunista cinese si guarda bene di bloccare gli ingenti investimenti europei nel suo Paese. Investimenti che infatti sono in continua crescita e giovano quindi alla manutenzione del regime feroce, mentre quelli cinesi in Europa continuano a calare come testimoniano le ultime statistiche. Invece di cedere alla Cina, esponendo il blocco a una crescente dipendenza economica, l’Europa si troverebbe teoricamente quindi in una posizione di forza per imporre una linea basata sui suoi valori in quel che è in primis un accordo politico.
Visto gli immensi interessi della potente industria tedesca è improbabile che la cancelliera Merkel o chi le succederà si farà portatore di questa posizione di difesa risoluta dei principi fondamentali dell’Unione europea, di concerto con l’alleato statunitense. Lo stesso vale il presidente francese Emmanuel Macron, orgogliosamente presente alla videoconferenza di capodanno per sigillare l’intesa di principio sul Cai. Né possiamo aspettarci che sia uno piccolo Stato membro, sebbene Paese fondatore dell’Unione europea, come il Belgio a cambiare la linea europea.
È dunque un’immensa opportunità per l’Italia, per tornare protagonista sulla scena europea e nell’Alleanza atlantica. Di fronte alle crescenti e quasi unanimi critiche all’ipocrisia tedesca e francese per la loro velata complicità ai crimini perpetrati del regime cinese attraverso la promozione di un appeasement economico che chiude gli occhi sulle gravissime accuse di violazioni massicce dei diritti umani, l’Italia — primo Paese promotore della moratoria universale sulla pena di morte e della Corte penale internazionale — potrebbe tornare a essere Paese leader nella difesa dei valori universali e un partner forte e affidabile per la nuova amministrazione statunitense.
Certo, servirebbe un segnale politico forte che riesca a disinnescare la posizione fin troppo ambigua creata negli ultimi anni, in particolare con la sottoscrizione dell’accordo politico con Pechino sulla Via della Seta. Accordo che appunto non ha certamente creato vantaggi economici per il Bel Paese, ma che — proprio come il Cai — ha mandato un messaggio politico molto pericoloso per un Paese del G7. Un messaggio che ci rende complici ogni giorno della crescente repressione in Cina. Un messaggio che rispecchia esattamente le dichiarazioni di Xi in risposta a Biden oggi: le vostre politiche genocidarie di popoli e di libertà sono “affari interni” e non ci riguardano.
Non è una posizione di cui un Paese come l’Italia possa andare fiera. Non è un messaggio in linea con la sua Costituzione e la sua legittima ambizione come attore di spicco europeo e geopolitico. Non è il momento dell’ambiguità. Osiamo sperare che il ribadito e netto orientamento atlantista del presidente del Consiglio incaricato Mario Draghi, insieme alle chiare dichiarazioni espresse dalle allora opposizioni parlamentari durante il dibattito parlamentare sul voto di fiducia al dimissionario Giuseppe Conte, porti il Paese al più presto a rescindere ufficialmente da quel famigerato patto politico. Con coraggio e orgoglio.
Blinken: Cina condanni il colpo Stato in Myanmar e rispetti i diritti di Uiguri, Tibet e Hong Kong
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- Pubblicato Lunedì, 08 Febbraio 2021 17:10
Il segretario di Stato americano Antony Blinken ha esortato ieri sera la Cina a rispettare i diritti di Uiguri, Tibet e Hong Kong durante il suo primo contatto con il governo di Pechino da quando Joe Biden è presidente. Lo rende noto il Dipartimento di Stato americano. "Gli Stati Uniti continueranno a lottare per i diritti umani e i valori democratici, anche nello Xinjiang, in Tibet e a HongKong", ha detto Blinken all'alto responsabile diplomatico cinese Yang Jiechi durante un colloquio telefonico.
Blinken ha "esortato la Cina a unirsi alla comunità internazionale nella sua condanna del colpo di Stato militare in Myanmar". Lo rende noto il Dipartimento di Stato.
Gli Stati Uniti - aggiunge un comunicato - riterranno Pechino "responsabile dei suoi tentativi di destabilizzare la regione indo-pacifica, compreso lo Stretto di Taiwan, e dei suoi attacchi contro le regole stabilite dal sistema internazionale".