Campi di concentramento in Cina: cosa sono e perché sta succedendo
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- Pubblicato Venerdì, 29 Novembre 2019 14:36
Cosa sono i campi di detenzione in Cina dove i musulmani vengono torturati, costretti al lavoro forzato, a convertirsi e a bere alcolici? Dopo la denuncia di una ragazza su TikTok si torna a parlare «della più grande incarcerazione di massa dalla seconda guerra mondiale».
“Cercate cosa sta succedendo in Cina in questo momento. Stanno creando campi di detenzione, separano le famiglie, rapiscono i musulmani, li uccidono, li stuprano, li sottopongono a elettroshock e lavaggio del cervello, li costringono a mangiare maiale e bere, a convertirsi a un’altra religione e se non lo fanno li uccidono”.
A parlare è Aziz, una teenager americana che su TikTok ha finto di fare un tutorial di makeup per parlare di un argomento che le sta particolarmente a cuore, ma che le costerebbe la censura del social cinese.
La ragazza ha usato la piattaforma video più popolare del momento per denunciare la situazione di repressione in Cina ai danni della minoranza uiguri nella provincia dello Xinjiang. Una situazione in verità già ben nota alle Nazioni Unite, che però, dice Aziz, hanno fallito nel bloccare il genocidio. “Non possiamo permettere che accada ancora, non possiamo restare in silenzio mentre davanti ai nostri occhi avviene un altro olocausto”.
Cosa sta succedendo davvero in Cina e perché i musulmani vengono arrestati e chiusi in campi di detenzione? Cosa avviene in questi campi? Ecco le cose da sapere.
Musulmani in Cina: chi sono gli uiguri
Gli Uiguri sono un’etnia di religione islamica che vive nel nord-ovest della Cina, in particolare nella regione dello Xinjiang insieme ai cinesi Han, ma rappresentano la maggioranza della popolazione in quella regione.
Dal 2001, con la lotta globale al terrorismo islamico, si è intensificata la repressione del governo nei confronti dei movimenti indipendentisti e separatisti come appunto quello degli uiguri, la cui attività indipendentista risale alla prima metà del novecento.
Nel 2009 una manifestazione uiguri nello Stato dello Xinjiang è degenerata in una serie di scontri etnici con gli han e con la polizia cinese, in cui sono morte centinaia di persone. Col tempo la minoranza musulmana ha iniziato a subire sempre maggiore repressione da parte delle autorità cinesi.
Campi di concentramento in Cina: cosa sono
Nel 2018 le polemiche sulla detenzione degli uiguri nei campi di concentramento in Cina e sulla natura di questi campi si sono intensificate. Il mondo intero ha iniziato a venire a conoscenza di una realtà fino ad allora tenuta nell’ombra grazie a un’inchiesta del quotidiano online Bitter Winter, dove venivano mostrati video filmati all’interno di questi campi simili a prigioni.
I centri di detenzione nascono ufficialmente come “centri di formazione professionale volontaria” ma dei documenti trafugati e diffusi dalla stampa internazionale confermano la più grande incarcerazione di massa di una minoranza etnico-religiosa dalla seconda guerra mondiale. Documenti commentati dal governo cinese, ovviamente, come “fabbricazione di notizie false”.
La Cina parla infatti di misure di rieducazione, che sono necessarie per prevenire la radicalizzazione e il terrorismo. Gli studiosi occidentali sostengono però che il presidente cinese Xi Jinping sia in verità allarmato da una inaspettata rinascita religiosa nella regione. Secondo le stime le autorità cinesi hanno internato nei lager circa un milione di uiguri.
Cosa succede nei campi di concentramento in Cina
Questi lager sono destinati ai musulmani ribelli o pericolosi arrestati e qui rinchiusi senza essere sottoposti a regolare processo. La violazione dei diritti inizia ben prima della reclusione, quindi.
Navigare un sito web straniero, ricevere telefonate e messaggi da parenti all’estero, pregare regolarmente o farsi crescere la barba potrebbe far atterrare una persona in un campo di indottrinamento politico cinese o in prigione.
Stando a quanto riferito, i campi devono aderire a un rigoroso sistema di controllo fisico e mentale totale, con sorveglianza 24 ore su 24 posta ovunque negli edifici e intorno ai recinti. Qui dentro le persone sono costrette a rinnegare le loro convinzioni e ad elogiare il Partito Comunista, a bere alcolici e mangiare carne di maiale (pratiche vietate dalla religione islamica).
I detenuti guadagnano “crediti” per il processo di trasformazione ideologica e il rispetto della disciplina, ma anche se la “trasformazione culturale” è compiuta non sono autorizzati ad andarsene, ma vengono trasferiti in un altro livello dei campi dove “devono formarsi in ambito lavorativo”.
Possono sentire i parenti una volta al mese in videochiamata o con una telefonata a settimana: unico contatto col mondo esterno. Ci sono stati molti resoconti di persone che hanno subito torture, stupri e abusi di ogni tipo. Sembra inoltre che anche dopo essere stati rilasciati, gli ex detenuti rimangono sotto sorveglianza.
Fonte: www.Money.it
Movimento 5 Stelle e i rapporti con la Cina: vogliono consegnare l’Italia nelle mani di Pechino?
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- Pubblicato Mercoledì, 27 Novembre 2019 14:47
Le visite di Beppe Grillo all’ambasciata cinese a Roma hanno fatto alzare le sopracciglia a molti. Tuttavia dei segnali si potevano cogliere già da tempo, visto l’elogio alle politiche cinesi nello Xinjiang da parte del fondatore del Movimento 5 Stelle pubblicato nei giorni scorsi sul suo blog. Sarebbe carino però capire però per “quale motivo economico si è lasciato ricattare”, parole che lui stesso usò per commentare il silenzio dei politici italiani riguardo alla questione tibetana nel 2012. Pechino ha ambizioni di dominio politico mondiale, è un regime paziente e forse l’Italia lo sta nutrendo. E le quattro ore di colloquio di domenica alimentano i sospetti di chi pensa che Grillo abbia intenzione di “vendere il Movimento” e, insieme, l’Italia a Pechino.
I rapporti tra Cina e Italia non sono frutto del Movimento 5 Stelle
I rapporti tra la Cina e l’Italia però non sono nati con Beppe Grillo, e nemmeno con Luigi Di Maio. E’ bene sfatare anche l’idea che riguardino solamente la difesa dei diritti umani. Non è così: dietro alla comunicazione italo-cinese ci sono principalmente (e ovviamente) questioni economiche. E’ vero che già nel 2013 Grillo, insieme a Gianroberto Casaleggio, andò in visita all’allora ambasciatore cinese Ding Wei. L’anno scorso, invece, fu proprio Luigi Di Maio a firmare il memorandum sulla Via della Seta. Prima di loro, però, è stato il Partito Democratico a creare i primi legami con la Cina. Il direttore d’orchestra di questi rapporti è l’ambasciatore Ettore Sequi, che ha lavorato per quattro anni a Pechino. Dall’inaugurazione del governo Conte bis è a capo del gabinetto di Di Maio alla Farnesina; in passato, però, aveva già ricoperto questo ruolo con Federica Mogherini e poi con Paolo Gentiloni, fino alla nomina in Cina nel 2015. Non è nuovo del mestiere, ed è considerato proprio il filo conduttore tra l’Italia e la Cina, a prescindere dai governi in carica: grazie all’allora ambasciatore il colosso cinese CCCC si avvicinò al porto di Trieste fin dalla visita dell’ex presidentessa del Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani, politica di rilievo all’interno del Partito Democratico. Questo succedeva nel 2017, lo stesso anno in cui Sequi organizzò la visita dell’allora premier Paolo Gentiloni al forum “One belt, one road” in Cina, il progetto della nuova Via della seta. Le fondamenta di questo rapporto internazionale quindi sono state create proprio dal Partito Democratico, più che dal Movimento 5 Stelle.
Movimento 5 Stelle e Cina
Il Movimento 5 Stelle si può dire abbia cavalcato un’onda creata dal PD. Di Maio, poi, ha continuato i lavori già iniziati prima firmando il tanto polemizzato memorandum sulla Via della Seta, e poi presenziando nelle scorse settimane alla seconda edizione del China International Import Expo di Shangai. In quella occasione, il ministro degli Esteri cinese lo ha elogiato così: “Lei ministro Di Maio è un nostro buon amico. Un politico giovane, molto in gamba, con una grande visione strategica”. La risposta di Di Maio è stata sulla stessa lunghezza: “Guardiamo alla Cina come un Paese che deve essere sempre più partner dell’Italia per lo sviluppo. L’adesione alla Via della Seta ha segnato un rafforzamento delle nostre relazioni”. Dall’altra parte, però, Joshua Wong, leader pro democrazia a Hong Kong, ha tentato di mettere in occhio i politici italiani: “L’Italia deve stare attenta a non dipendere dagli interessi economici cinesi. La Cina è nota per non rispettare le regole ed è tristemente nota per le violazioni dei diritti umani”. Proprio per questo motivo, infatti, Fratelli d’Italia domani chiederà maggiore chiarezza al Parlamento. Oggi, invece, il ministro dell’Istruzione, dell’università e della ricerca Lorenzo Fioramonti è a Pechino per l’inaugurazione, insieme all’omologo cinese Wang Zhigang, della decima edizione della Settimana Cina Italia della Scienza, della tecnologia e dell’innovazione, dando l’impressione di dimenticare le manifestazioni che si stanno consumando a Hong Kong per mano degli studenti.
Svizzera preoccupata di situazione in regione di Xinjiang
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- Pubblicato Mercoledì, 27 Novembre 2019 14:10
Il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) ha preso atto con grande preoccupazione dei documenti recentemente pubblicati sulla detenzione degli uiguri e di altre minoranze etniche nello Xinjiang.
Ha quindi invitato il governo cinese a tener conto dell'inquietudine di molti Stati e a permettere all'ONU un accesso senza ostacoli alla regione.
Il DFAE segue da tempo la situazione dei diritti umani nella regione autonoma uigura dello Xinjiang. Il rispetto dei diritti delle minoranze e della libertà di opinione, di stampa e della religione sono una priorità della politica elvetica in materia di diritti umani in Cina, indica in un comunicato odierno il DFAE.
Il consigliere federale Ignazio Cassis, in occasione del dialogo strategico tra Svizzera e Cina il 22 ottobre a Berna, aveva espresso le sue preoccupazioni riguardo alla situazione nella regione dello Xinjiang.
Svizzera e Cina - sottolinea la nota - conducono dal 1991 un dialogo sui diritti umani, in cui si discutono anche i diritti delle minoranze etniche e religiose nello Xinjiang e in Tibet.
Nell'ambito dell'impegno multilaterale per il rispetto dei diritti umani, il 6 novembre 2018, in occasione dell'Esame periodico universale (EPU) della Cina nel Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, la Svizzera ha chiesto la chiusura dei campi di detenzione nello Xinjiang. La Confederazione ha inoltre domandato alla Cina di concedere all'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani un accesso illimitato allo Xinjiang e di consentire un'indagine indipendente dell'ONU.
Cina, video svela le brutali condizioni dei musulmani dello Xinjiang
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- Pubblicato Martedì, 24 Settembre 2019 18:08
La Cina è nuovamente finita nell'occhio del ciclone a causa dell'ennesima presunta violazione dei diritti umani nello Xinjiang.
Un video diffuso su internet, ritenuto reale da alcuni esperti e varie ong, che adesso stanno indagando, mostrerebbe il brutale trattamento che le autorità cinesi riserverebbero agli uiguri.
La clip, probabilmente girata da un drone aereo e della durata di un paio di minuti, è stata caricata su Youtube e mostra dozzine di giovani, ammanettati, bendati, incatenati e tenuti prigionieri dalle autorità locali.
Quei giovani, accusa la comunità internazionale, sono i musulmani uiguri. Le loro teste sono rasate e tutti indossano gli stessi indumenti, un vestito viola, mentre le guardie hanno un'uniforme nera.
“Questo filmato è agghiacciante – ha denunciato il direttore esecutivo di Human Rights Watch su Twitter – la Cina parla di formazione professionale ma le immagini di uomini bendati e legati difficilmente fanno sembrare la detenzione di massa dei musulmani come benevola”.
La Cina nell'occhio del ciclone
Un portavoce del Foreign and Commonwealth Office del Regno Unito, come riportato dall'Independent, ha espresso enorme preoccupazione per la gravità del video. “Vi è una crescente quantità di prove sulla situazione inquietante che gli uiguri e le altre minoranze stanno affrontando nello Xinjiang” ha proseguito il portavoce, che ha poi sottolineato come “ministri e alti funzionari del Regno Unito hanno sollevato la questione sia alle autorità cinesi sia al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite”.
Nonostante la Cina abbia più volte affermato che nello Xinjiang non esistano campi di concentramento e che le persone presenti nei "centri di educazione e formazione professionale" decidano volontariamente di prendere parte alle attività, gli attivisti per i diritti umani affermano l'esatto contrario.
Pechino è accusata di gestire i campi di concentramento in modo brutale, nell'ambito di una campagna di genocidio culturale nei confronti dei musulmani uiguri. Alcuni ex detenuti hanno affermato di essere stati torturati e obbligati a frequentare lezioni di rieducazione politica e cantare canzoni patriottiche, oltre che costretti a mangiare carne di maiale nonostante la loro fede islamica.